i ritrovamenti 


I reperti archeologici ritrovati all'interno della grotta di Ispinigoli sono oggi esposti presso il Museo Archeologico di Dorgali.

girocollo in bronzo

Età Romana: Collana di bronzo a capi aperti.

collana

Età Punica: 18 elementi in pasta vitrea.

collana decorata

Età Punica: collana costituita da vaghi di pasta vitrea con decorazione a cerchielli.

Collana

Età Punica: collana costituita da vaghi in pasta vitrea.

collana

Età Punica: collana costituita da 193 vaghi in pasta vitrea.

collana

Età Punica: collana costituita da 183 vaghi in pasta vitrea.

Note Storiche

La Grotta di Ispinigoli è stata aperta al pubblico nel 1974 e da allora oltre 40.000 visitatori all’anno scendono nel gigantesco antro in cui sorge la maestosa colonna calcarea alta 38 metri, la più grande d’Europa e una delle più alte al mondo.
La grande sala appartiene al complesso carsico Ispinigoli – San Giovanni su Anzu – sos Jocos.

Si tratta di tre grotte comunicanti che raggiungono la lunghezza totale di 17 km; questo sistema carsico si orienta in direzione Sud Ovest-Nord Est nelle viscere del monte S’Ospile con tre ingressi che si aprono a quote diverse. Ciò crea delle differenze di pressione che generano all’interno una corrente d’aria continua, con la temperatura che si mantiene di 16-17 gradi in tutte le stagioni.

Le grandi gallerie di questa cavità carsica sono caratterizzate da notevoli depositi di argilla, enormi colonne e innumerevoli bianche concrezioni e nel fondo di questo complesso scorrono piccoli torrenti sotterranei che vedono la luce nella vicina Grotta di San Giovanni Su Anzu.

Il sistema venne esplorato in modo sistematico sin dal 1954 dal Gruppo grotte di Nuoro che individuò il collegamento tra le due cavità. Le ricerche continuarono negli anni successivi ad opera dei grandi esperti della speleologia sarda: Padre Furreddu, Bruno Piredda e il piemontese Eraldo Saracco che nel 1965 perse la vita, precipitando nel secondo pozzo della Grotta, a lui è dedicata la targa all’ingresso del ramo speleologico.

Nel 1995 gli speleologi di Dorgali e di Sassari trovarono il collegamento fra la Grotta di Sos Jocos e quella di San Giovanni di Su Anzu, completando così il rilevamento dell’intero complesso. La Grotta suscitò grande interesse scientifico per i ritrovamenti fossili di una lontra dell’era glaciale importanti reperti archeologici di età nuragica (XVII-VI sec. a.C.), punica (VI-III a.C.) e romana (III a.C.-VI sec. d.C.) che testimoniano un lungo utilizzo della cavità carsica come luogo di sepoltura e di culto.

Tra i rinvenimenti si segnalano i vaghi in pasta vitrea attribuibili all’età punica (VI – III sec. a.C.) e all’età romana e tardo romana (II sec. a.C. – VI sec.). Inizialmente questi ritrovamenti alimentarono la leggenda di un luogo legato ai sacrifici umani in epoca punica.
Da queste considerazioni la voragine fu battezzata L’Abisso delle vergini.